Mater semper certa non est. Il Tribunale si Padova respinge il ricorso del Pubblico Ministero per la modifica dei certificati di nascita contenenti l’indicazione di due madri

by | Apr 3, 2024

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About Chiara Ragni

Chiara Ragni is Full Professor of International Law at the Faculty of Political Science of the University of Milan, where she teaches International Law and International Human Rights Law. Her research is focused on human rights with an emphasis on the protection of vulnerable people, like children or migrants, on international criminal law, on health-related rights, and on family law.

Il 1º febbraio 2024 il Tribunale di Padova ha respinto il ricorso presentato nel giugno 2023 dal Pubblico Ministero, con cui questi chiedeva di correggere più di trenta certificati di nascita di bambini, concepiti all’estero attraverso la procreazione medicalmente assistita (PMA) da coppie composte da due donne e successivamente nati in Italia. Il ricorso mirava alla rettifica degli atti mediante la rimozione dei riferimenti al genitore non biologico. In particolare, il Pubblico Ministero rilevava l’asserita incongruenza dei certificati di nascita impugnati con la legislazione italiana, che, in primo luogo, prevede l’indicazione nel certificato di nascita della sola madre biologica (secondo quanto sembrerebbe evincersi dall’art. 30 del Decreto del Presidente della Repubblica (d.p.r.) n. 396/2000 che disciplina le norme sulla revisione e sulla semplificazione dell’ordinamento dello stato civile) e, in secondo luogo, consente l’accesso alle tecnologie riproduttive esclusivamente alle coppie eterosessuali con problemi riproduttivi dovuti a sterilità o infertilità (art. 1 della Legge n. 40/2004).

Il Tribunale di Padova ha respinto la richiesta, sostenendo che nella specie non si trattava di un caso di mera contestazione circa la correttezza formale della annotazione contenuta nel certificato di nascita ovvero di errore nella sua formazione, quanto piuttosto di una controversia vertente sullo status giuridico certificato nell’atto. Dato quindi l’oggetto della richiesta avanzata dal Pubblico Ministero, il Tribunale rilevava come l’unico rimedio esperibile per rimuovere l’indicazione della seconda madre fosse quello previsto dall’art. 263 cod. civ., che prevede l’instaurazione di un giudizio a cognizione piena, anziché quello del procedimento di rettificazione dell’atto disciplinato dall’art. 95 del d.p.r. n. 396/2000.

Questa sentenza si inserisce nell’ambito di un significativo filone giurisprudenziale riguardante lo status familiare dei bambini nati in seguito a PMA, effettuata all’estero nei casi in cui l’accesso ad essa è precluso dalla legislazione italiana. Nello scenario oggetto del caso sottoposto al Tribunale di Padova, la prassi prevalente rileva come sia solo lo status genitoriale della madre biologica a essere legalmente riconosciuto, mentre alla partner che ha acconsentito all’inseminazione artificiale è consentito richiedere l’adozione del bambino nella forma della adozione minus plena (secondo una consolidata interpretazione dell’art. 44 comma 1 lett. d) della Legge n.184/1983; cfr. tra le altre, Corte di Cassazione, sentenze n. 12962/2016 e n. 12193/2019). Questa opzione è generalmente considerata il risultato di un buon equilibrio tra: da un lato l’interesse superiore del bambino a preservare il legame familiare già esistente con entrambi i genitori e il suo diritto alla identità personale; dall’altro l’interesse pubblico nel prevenire il ricorso al c.d. “turismo procreativo”. Tuttavia, nonostante i suoi aspetti positivi, questa soluzione non garantisce piena protezione dei diritti di tutti i soggetti coinvolti, in quanto è strettamente subordinata all’attivazione di un procedimento giudiziario di adozione (in senso critico v. Corte EDU, Advisory Opinion, 10 aprile 2019, par.54).

Inoltre, in mancanza di indicazioni normative precise, le decisioni riguardanti il riconoscimento dello status filiationis di bambini concepiti o nati all’estero in seguito al ricorso a PMA in casi in cui questa non sia consentita in Italia, sono rimesse agli ufficiali dello stato civile o ai giudici nei casi in cui la validità dei certificati di nascita sia contestata. Questo conduce a una prassi non sempre coerente, come esemplificato dal caso in esame.

La decisione del Tribunale di Padova si discosta dall’approccio dalla Corte di Cassazione, la quale, nella ordinanza n. 7413/2022, ha affermato che le procedure di rettifica sono l’unico mezzo per contestare la legittimità dei dati contenuti nei certificati di nascita formati dagli ufficiali dello stato civile. Questo anche nella ipotesi in cui la incongruenza tra quanto risulta dall’atto e la realtà riguardi la difformità tra la situazione certificata e quella esistente secondo la legge. Nei casi come quello in esame, l’indicazione della madre intenzionale da parte dell’ufficiale di stato civile costituisce quindi, ad avviso della Cassazione, una alterazione nel processo di formazione del certificato, il quale recepisce il contenuto di una dichiarazione che per legge non avrebbe dovuto essere registrata (nel medesimo senso v. ordinanza n. 511/2024).

Secondo il diverso approccio adottato dal Tribunale di Padova, che sotto questo profilo aderisce all’orientamento già espresso qualche tempo fa dalla Corte di Appello di Firenze (vedi decisione del 6 febbraio 2023), poiché l’iscrizione dell’atto nel pubblico registro non ha solo la funzione di certificare la nascita del bambino, ma stabilisce anche il rapporto genitore-figlio, il suo annullamento comporta inevitabilmente una decisione sullo status. Per questo motivo, il Tribunale ha concluso che la contestazione dell’atto di nascita, sotto questo profilo, può avvenire solo attraverso un procedimento contenzioso a cognizione piena che coinvolga tutte le parti interessate. Di conseguenza, i ricorsi presentati dal Pubblico Ministero in conformità alla procedura di rettifica regolata dal d.p.r.  396/2000, sono stati respinti.

La sentenza in oggetto è stata accolta con molto favore dalla comunità LGBTQ+, che ha soprattutto posto l’accento sul rigetto della richiesta del Pubblico Ministero di eliminare il nome della madre intenzionale dall’atto di nascita. Tuttavia, la portata della decisione non può essere sopravvalutata. Nelle controversie concernenti lo status dei bambini concepiti all’estero mediante elusione della rigorosa normativa sulla PMA, la Corte di Cassazione ha costantemente ribadito che il diritto italiano, applicabile secondo il diritto internazionale privato (Art. 33 della Legge 218/1995), non permette il riconoscimento di due donne come madri del bambino (cfr. tra le altre v. le ordinanze n. 22179/2022 e n. 10844/2022). Né una conclusione diversa potrebbe trarsi da una interpretazione estensiva della Legge n. 40/2004, che all’art. 8 equipara i diritti dei bambini concepiti naturalmente a quelli nati in seguito al ricorso alla PMA. Per questo, la Corte Costituzionale ha auspicato un intervento normativo in materia, al fine di meglio tutelare il diritto dei bambini alla certezza del proprio status familiare (sentenze n. 32/2021, par. 2.4.1.4 e n. 33/2021, par. 5.9).

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